venerdì 28 novembre 2008

Il conflitto di Tremonti

di Luca Piana
La pratica è arrivata sul tavolo degli ispettori anti evasione ormai da tempo. La Mondadori, casa editrice di proprietà di Silvio Berlusconi, è sospettata di aver evaso il fisco. Facendo i controlli sulle dichiarazioni del 2004, gli uomini dell'Agenzia delle Entrate di Milano si sono accorti che la Mondadori aveva escluso dal reddito imponibile una serie di guadagni, riducendo le tasse da pagare.
Una cifra non elevata, dicono fonti vicine al dossier, anche se superiore ai livelli che potrebbero far scattare la denuncia per falsa dichiarazione. Il caso, però, è politicamente scottante per due aspetti diversi. Il primo è che sarebbe clamoroso vedere un premier punire se stesso per aver evaso il fisco. Il secondo è che tra i consulenti fiscali abituali del gruppo Fininvest c'è, anche se in modo non esclusivo, lo studio fondato dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Così all'Agenzia delle Entrate, l'ente che si occupa della lotta all'evasione guidato da un fedelissimo del ministro, Attilio Befera, la pratica Mondadori sembra non fare progressi da mesi: alla stessa casa editrice fanno sapere di non essere a conoscenza se i rilievi, dichiarati già nel bilancio 2007, abbiano avuto seguito. All'Agenzia, invece, non commentano.
In prima linea durante queste settimane di durissima crisi finanziaria, Tremonti è da sempre considerato una delle figure più in vista nell'alleanza che gravita attorno a Berlusconi. Esiste però una faccia poco nota del pianeta Tremonti, costituita dalla sua attività professionale di fiscalista. Lo studio, fondato negli anni Ottanta, ha la sede storica a Milano, dove occupa gran parte di un elegante palazzo in via Crocefisso. Dal citofono il cognome del ministro oggi è sparito. Vi rimangono quelli dei più anziani fra i partner attuali: Enrico Vitali, Dario Romagnoli e Lorenzo Piccardi. Il sito Web informa che Tremonti "ha lasciato lo studio".
Gli studi professionali non sono aziende ma associazioni fra partner che si dividono i profitti. Se uno lascia, a meno di accordi segreti, la ditta esce dal suo patrimonio. Per Tremonti, però, l'idea di un taglio netto è dura da sostenere: ogni volta che è uscito dal governo, è tornato a lavorare in studio. È accaduto nel luglio 2004 quando, in rotta con Gianfranco Fini, per 14 mesi dovette lasciare il posto a Domenico Siniscalco. Ed è successo nel 2006, dopo l'ultima vittoria di Romano Prodi.
Questo avanti-indietro dà vita a un corto circuito continuo. Il primo aspetto problematico nasce nei rapporti fra ministero e imprese a controllo statale. Tremonti partecipa alla nomina di manager di aziende che, poi, figurano fra i clienti dello studio, come accaduto con Enel e altre società. Un intreccio che si complica quando il ministro assegna incarichi a persone che incrocia nell'attività privata. Nel 2002 ha piazzato nel collegio sindacale dell'Eni Paolo Colombo, fratello di Fabrizio, un suo associato. Due anni dopo lo stesso Paolo Colombo è divenuto consulente dello studio e lo scorso giugno, nella tornata di nomine all'Eni varate da Tremonti, è stato promosso consigliere. L'unica donna fra i partner dello studio, Laura Gualtieri, è stata nominata nel collegio sindacale di due aziende della Finmeccanica, Agusta e Alenia Aermacchi, anche se solo come sindaco supplente. Curioso il caso del presidente dell'Enel, Piero Gnudi, riconfermato in giugno: è stata la figlia, Maddalena, a venire accolta, quest'anno, tra gli associati dello studio fondato da Tremonti.
Il secondo aspetto delicato riguarda la sfera politica. I proclami del ministro a volte stridono pesantemente con il business dello studio, facendo apparire Tremonti come il Don Giovanni di Mozart: cambiando identità a seconda della donna che ha davanti, il seduttore sembra perdere se stesso. Lui attacca la grande finanza, ma fra i clienti abbondano le banche, dalla Merrill Lynch al Monte dei Paschi di Siena, che in luglio si è avvalso della consulenza fiscale di Vitali & C. per vendere alla Lehman Brothers l'attività dei crediti in sofferenza. E non mancano i petrolieri, quelli che avrebbero dovuto piangere per l'introduzione della cosiddetta Robin Hood Tax. Il 17 luglio, parlando alla Camera dei deputati, Tremonti si è scagliato contro i colossi russi dell'energia, affermando che in Europa operano soggetti dalle "caratteristiche aggressive diverse da quelle di mercato". Un mese prima, quando era ministro da 40 giorni, la Erg della famiglia Garrone aveva però venduto alla russa Lukoil il 49 per cento delle raffinerie e della centrale di Priolo, in Sicilia, per 1,37 miliardi. Per minimizzare l'impatto fiscale sull'incasso, la Erg si era rivolta allo studio fondato da Tremonti, con cui vanta un lungo rapporto: uno dei partner, Marcello Valenti, è sindaco della Erg Raffinerie Mediterranee.

lunedì 24 novembre 2008

Siti web da registrare, la nuova proposta di legge

da Punto Informatico
Difficile credere che si tratti di una coincidenza: a poche ore da quando Ricardo Levi ha annunciato la cancellazione delle sue criticatissime proposte per la registrazione coatta di siti web e blog, ritiro subito applaudito dagli esperti, ecco che si affaccia una nuova proposta di legge, che conferma alcuni obblighi per i siti web ma con alcuni decisivi distinguo rispetto all'orientamento Levi.
A presentarla, questa volta, non è un esponente del Partito Democratico ma Roberto Cassinelli del Partito Popolo delle Libertà e membro della commissione Giustizia della Camera. Cassinelli sia nelle dichiarazioni con cui ha ieri presentato la sua proposta sia nella introduzione alla stessa sottolinea energicamente come si tratti di un testo che vuole correggere la normativa esistente per liberare, scrive, "blog, social network e community dai lacci e lacciuoli stabiliti dalla legge per i prodotti editoriali".
In particolare Cassinelli prende di mira la legge 62 del 2001, quella che i lettori di Punto Informatico conoscono benissimo, una legge che quell'anno ha provocato una mobilitazione in rete all'epoca senza precedenti animata proprio da questo giornale: le ragioni di Cassinelli sono quelle che già all'epoca furono proposte da una petizione firmata da più di 53mila utenti Internet. In quella norma, infatti, la definizione di prodotto editoriale è così generica da comprendere qualsiasi cosa, siti e blog compresi. Da qui parte il parlamentare della maggioranza, spiegando come quella legge di fatto estenda obblighi previsti e considerati necessari per la stampa tradizionale anche a realtà elettroniche che con questa nulla hanno a che spartire. A cominciare, è lecito aggiungere, dalla caccia ai ricchi contributi pubblici per i quali quella norma era nata in primo luogo.
Secondo Cassinelli la sua proposta, dunque, limita qualsiasi obbligo ai prodotti editoriali cartacei oppure solo a quelli che definisce giornali online, "ovvero quei siti internet simili, se non identici, alla stampa tradizionale, con una redazione giornalistica regolarmente stipendiata e con la vendita di spazi pubblicitari al proprio interno". A detta del parlamentare tutto questo "risponde ad una esigenza di liberalizzare la circolazione delle idee ed il mercato delle opinioni, senza introdurre ulteriori appesantimenti e controlli", al punto che definisce la sua proposta una legge salvablog "in piena antitesi con il ddl ammazzablog presentato dall'ex sottosegretario all'editoria del governo Prodi Ricardo Franco Levi". Cassinelli ci va giù molto pesante sull'impianto Levi: "Una misura assolutamente illiberale e inaudita che metteva il bavaglio alla libera circolazione delle idee, per cui apprezziamo che lo stesso onorevole Levi abbia deciso di fare retromarcia ritirando il capitolo della sua proposta dedicato ad Internet".
Nonostante le buone intenzioni, però, c'è già in queste ore chi ha individuato nella nuova proposta alcuni rischi per una serie di siti.
La falla più pesante, in particolare, si troverebbe nella nuova definizione di prodotto editoriale "pubblicato nella rete Internet". Perché un sito venga considerato in questo modo, infatti, deve valere una qualsiasi di sette condizioni. Tra queste non c'è solo la sussistenza di una redazione giornalistica o la riproposizione su web dei contenuti di un giornale cartaceo, ma anche quanto previsto dal "punto b" dell'articolo 2 comma 1, un assai più generico "il gestore o gli autori delle pagine ne traggano profitto". Questa definizione, associata al fatto che la proposta legge si applicherebbe a pressoché qualunque sito si focalizzi su "la pubblicazione o la diffusione di notizie di attualità, cronaca, economia, costume o politica" si può tradurre, dicono gli esperti consultati da Punto Informatico in queste ore, in nuovi obblighi per qualsiasi sito il cui gestore tragga profitto di qualsiasi genere (non solo economico) dalla propria attività
Peraltro, che l'espressione "traggano profitto" del punto "b" possa non riferirsi per gli autori del sito solo all'aspetto economico ma a qualsiasi genere di profitto anche non economico, ad esempio in termini di visibilità o reputazione professionale, sembra indicarlo anche il successivo punto "f", in cui riferendosi agli autori o gestori dei siti si parla invece esplicitamente di "compensi periodici o salutari per la propria attività di gestione o redazione". Sulla stessa linea anche il successivo "g". Il problema dell'obbligo di registrazione e di dover sottostare alle altre pendenze della legge sulla stampa a cui sono sottoposti i giornali tradizionali, viene sottolineato ora, non sembra dunque affatto risolto. Anzi si confermerebbero gli obblighi della legge sull'editoria per pressoché qualunque sito pubblichi un banner, un annuncio AdSense o, più semplicemente, permetta a chi lo realizza di ottenerne un profitto di qualsiasi genere.
In effetti Cassinelli, che Punto Informatico sta tentando di raggiungere per ulteriori approfondimenti proprio in queste ore, nella presentazione della proposta dichiara che "in questo modo, il numero di siti tenuti ad essere registrati presso il Tribunale si restringe sensibilmente rispetto a quello attuale (ossia quello previsto dalla 62/2001, ndr.) che, se si ottemperasse alle vigenti normative, risulterebbe in pratica pari alla totalità dei siti web". In altre parole nella proposta Cassinelli c'è una fondamentale presa di coscienza del vulnus giuridico causato dalla controversa legge sull'editoria del 2001, c'è l'intenzione di liberare blog e siti web da obblighi che non hanno senso ma non sembra ancora esserci una corretta definizione di prodotto editoriale, con la conseguenza che si lascia aperta la porta ad una conferma degli obblighi di registrazione e degli altri obblighi previsti per la stampa anche per tutta una serie di altri siti.
Di rilevanza, per quanto generico, il comma 2 dell'articolo 2 di questa proposta che afferma, ed è questa la più importante novità rispetto tanto alla legge sull'editoria quanto alla proposta Levi:
"Sono in ogni caso esclusi dagli obblighi previsti dall'articolo 5 della legge 8 febbraio 1948, n. 47, i prodotti editoriali pubblicati sulla rete internet che abbiano quale scopo unico: a) la pubblicazione o la diffusione di idee ed opinioni proprie e personali; b) la pubblicazione o la diffusione, da parte dell'autore o gestore, di informazioni relative alla propria natura ed alla propria attività di società, associazione, circolo, fondazione o partito politico; c) la pubblicizzazione, da parte dell'autore o gestore, della propria attività di istituzione, ente pubblico o persona che ricopra cariche in tale ambito; d) la pubblicazione o la diffusione, da parte dell'autore o gestore, di informazioni autobiografiche, personali o che comunque riguardino la propria attività personale, professionale, politica o pubblica; e) l'aggregazione, in forma automatica, di notizie ed informazioni contenute in altre pagine; f) la creazione di momenti di discussione e dibattito su temi specifici; g) l'aggregazione di utenti terzi in una comunità virtuale".
Quanto emerge, dunque, è un chiaro tentativo di distinguere come due insiemi separati le attività professionali di informazione da tutte le altre. Il problema, osservano però gli esperti in queste ore, è che questo confine nella realtà delle attività di moltissimi siti è sfumato e quasi impercettibile. Un esperto di cinema, è uno degli esempi che viene fatto, che utilizzasse il suo blog per aggiornare i suoi lettori, esprimendo opinioni e dando informazioni sul cinema, e condisse il tutto con dei banner AdSense, rischierebbe di doversi registrare pur essendo tutto meno che una testata giornalistica, e certo non interessato a recuperare finanziamenti pubblici ma solo a parlare di ciò che lo appassiona con altri utenti della rete.
Come detto, ad ogni modo, quella di Cassinelli è una proposta di legge e come tale potrà essere modificata in corsa eliminando le possibili ambiguità. Nelle prossime ore Punto Informatico conta di poter approfondire la questione con il suo promotore e con altri esperti della materia.

giovedì 13 novembre 2008

I Palazzi del potere hanno aumentato le spese. Dalle agende alle liquidazioni, sprechi e privilegi

Nelle bellissime agende da tavolo e agendine da tasca del Senato, appositamente disegnate per il 2009 dalla fashion house Nazareno Gabrielli, tra i 365 giorni elegantemente annotati ne manca uno. Il giorno con il promemoria: «Tagli ai costi della politica». A partire, appunto, dal costo delle agendine: 260.000 euro. Mezzo miliardo di lire. Per dei taccuini personalizzati. Più di quanto costerebbero di stipendio lordo annuo dodici poliziotti da assumere e mandare nelle aree a rischio. Il doppio, il triplo o addirittura il quadruplo di quanto riesce a stanziare mediamente per ogni ricerca sulla leucemia infantile la Città della Speranza di Padova, la struttura che opera grazie a offerte private senza il becco di un quattrino pubblico e ospita la banca dati italiana dei bambini malati di tumore.

Sentiamo già la lagna: uffa, questi attacchi alle istituzioni democratiche! Imbarazza il paragone coi finanziamenti alle fondazioni senza fini di lucro? Facciamone un altro. Stando a uno studio del professor Antonio Merlo dell'Università della Pennsylvania, che ha monitorato gli stipendi dei politici americani, quelle agendine costano da sole esattamente 28.000 euro (abbondanti) più dello stipendio annuale dei governatori del Colorado, del Tennessee, dell'Arkansas e del Maine messi insieme. È vero che quei quattro sono tra i meno pagati dei pari grado, ma per guidare la California che da sola ha il settimo Pil mondia-le, lo stesso Arnold Schwarzenegger prende (e restituisce: «Sono già ricco») 162.598 euro lordi e cioè meno di un consigliere regionale abruzzese.

Sono tutti i governatori statunitensi a ricevere relativamente poco: 88.523 euro in media l'anno. Lordi. Meno della metà, stando ai dati ufficiali pubblicati dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, degli emolumenti lordi d'un consigliere lombardo. Oppure, se volete, un quarto di quanto guadagna al mese il presidente della Provincia autonoma di Bolzano Luis Durnwalder, che porta a casa 320.496 euro lordi l'anno. Vale a dire quasi 36.000 euro più di quanto guadagna il presidente degli Stati Uniti.(...) Se è vero che non saranno le agendine o i menu da dieci euro a portare alla rovina lo Stato italiano, è altrettanto vero però che non saranno le sforbiciatine date dopo il deflagare delle polemiche a raddrizzare i bilanci d'un sistema mostruosamente costoso. Né tanto meno a salvare la cattiva coscienza del mondo politico. Certo, l'abolizione dell'insopportabile andazzo di un tempo, quando bastava denunciare la perdita o il furto di un oggetto per avere il risarcimento («Ho perso una giacca di Caraceni». «Prego onorevole, ne compri un'altra e ci porti lo scontrino»), è un'aggiustatina meritoria. Come obbligati erano la soppressione a Palazzo Madama del privilegio del barbiere gratuito e l'avvio di un nuovo tariffario (quasi) di mercato: taglio 15 euro, taglio con shampoo 18, barba 8, frizione 6... E così la cancellazione del finanziamento di 200.000 euro per i corsi di inglese che non frequentava nessuno. E tante altre cosette ancora. Un taglietto qua, una limatina là... (...) Sul resto, però, buonanotte. L'andazzo degli ultimi venti anni è stato tale che, per forza d'inerzia, i costi hanno continuato a salire. Al punto che i tre questori Romano Comincioli (Pdl), Benedetto Adragna (Pd) e Paolo Franco (Lega Nord), nell'estate 2008, hanno ammesso una resa senza condizioni scrivendo amaramente nel bilancio: «Non è stato possibile conseguire l'obiettivo di inversione dell'andamento della spesa in proposito fissato dal documento sulle linee guida».

Risultato: le spese correnti di Palazzo Madama, nel 2008, sono salite di quasi 13 milioni rispetto al 2007 per sfondare il tetto di 570 milioni e mezzo di euro. Un'enormità: un milione e 772.000 euro a senatore. Con un aumento del 2,20 per cento. Nettamente al di sopra dell'inflazione programmata dell' 1,7 per cento.

Colpa di certe spese non facilmente comprensibili per un cittadino comune: 19.080 euro in sei mesi per noleggiare piante ornamentali, 8.200 euro per «calze e collant di servizio» (in soli tre mesi), 56.000 per «camicie di servizio » (sei mesi), 16.200 euro per «fornitura vestiario di servizio per motociclisti ». Ma soprattutto dei nuovi vitalizi ai 57 membri non rieletti e dei 7.251.000 euro scuciti per pagare gli «assegni di solidarietà» ai senatori rimasti senza seggio. Come Clemente Mastella. Il cui «assegno di reinserimento nella vita sociale» (manco fosse un carcerato dimesso dalle patrie galere) scandalizzò anche Famiglia Cristiana che gli chiese di rinunciare a quei 307.328 euro e di darli in beneficenza. Sì, ciao: «La somma spetta per legge a tutti gli ex parlamentari». Fine.

Grazie alle vecchie regole, il «reinserimento nella vita sociale» di Armando Cossutta è costato 345.600 euro, quello di Alfredo Biondi 278.516, quello di Francesco D'Onofrio 240.100. Un pedaggio pagato, ovviamente, anche dalla Camera. Dove Angelo Sanza, per fare un esempio, ha trovato motivo di consolazione per l'addio a Montecitorio in un accredito bancario di 337.068 euro. Più una pensione mensile di 9.947 euro per dieci legislature. Pari a mezzo secolo di attività parlamentare. Teorici, si capisce: grazie alle continue elezioni anticipate, in realtà, di anni «onorevoli » ne aveva fatti quattordici di meno.

Un dono ricevuto anche da larga parte dei neo-pensionati che erano entrati in Parlamento prima della riforma del 1997 e come abbiamo visto si erano tirati dietro il privilegio di versare con modica spesa i contributi pensionistici anche degli anni saltati per l'interruzione della legislatura. Come il verde Alfonso Pecoraro Scanio, andato a riposo a 49 anni appena compiuti con gli 8.836 euro al mese che spettano a chi ha fatto 5 legislature pur essendo stato eletto solo nel 1992: 16 anni invece di 25. Oppure il democratico Rino Piscitello: 7.958 euro per quattro legislature nonostante non sia rimasto alla Camera 20 anni ma solo 14. Esattamente come il forzista Antonio Martusciello. Che però, con i suoi 46 anni, non solo ha messo a segno il record dei baby pensionati di questa tornata ma ha trovato subito una «paghetta» supplementare come presidente del consiglio di amministrazione della Mistral Air: la compagnia aerea delle Poste italiane.

C'è poi da stupirsi se, in un contesto così, le spese dei Palazzi hanno continuato a salire? Quirinale, Senato, Camera, Corte costituzionale, Cnel e Csm costavano tutti insieme nel 2001 un miliardo e 314 milioni di euro saliti in cinque anni a un miliardo e 774 milioni. Una somma mostruosa. Ma addirittura inferiore alla realtà, spiegò al primo rendiconto Tommaso Padoa-Schioppa: occorreva includere correttamente nel conto almeno altri duecento milioni di euro fino ad allora messi in carico ad altre amministrazioni dello Stato. Ed ecco che nel 2007 tutti gli organi istituzionali insieme avrebbero pesato sulle pubbliche casse per un miliardo e 945 milioni. Da aumentare nel 2008 fino a un miliardo e 998 milioni. A quel punto, ricorderete, nell'ottobre 2007 scoppiò un pandemonio: ma come, dopo tante promesse di tagli, il costo saliva di altri 53 milioni di euro, pari circa al bilancio annuale della monarchia britannica? Immediata retromarcia. Prima un ritocco al ribasso. Poi un altro. Fino a scendere a un miliardo e 955 milioni. «Solo» dieci milioncini in più rispetto al 2007. Col Quirinale che comunicava gongolante di aver tagliato, partendo dai corazzieri (lo specchietto comunemente usato per far luccicare gli occhi delle anime semplici), il 3 per mille. Certo, era pochino rispetto ai tagli del 61 per cento decisi dalla regina Elisabetta, però era già una (piccola) svolta...

Bene: non è andata così. Nell'assestamento di bilancio per il 2008 i numeri hanno continuato a salire e salire fino ad arrivare il 13 agosto a 2 miliardi e 55 milioni di euro. Cento milioni secchi più di quanto era stato annunciato in un tripudio di bandiere che sventolavano per festeggiare i «tagli». Risultato finale: l'aumento che avrebbe dovuto essere virtuosamente contenuto nello 0,5 per cento si è rivelato di almeno il 5,6: undici volte più alto.

(Brano tratto da «La Casta», nuova edizione aggiornata)

Sergio Rizzo, Gian Antonio Stella

lunedì 10 novembre 2008

Il peggio non è mai morto: Settecentocinquanta ettari edificabili nelle campagne. E sulla capitale si prepara a cadere una nuova ondata di cemento

La Repubblica,- 5 novembre 2008
di Alberto Statera
Tor Pagnotta, Bufalotta, Malafede, Magliana, Casal Boccone, Castellaccio, Murate. Un arcano spregiativo segna nei nomi i confini dell’ormai smisurato impero palazzinaro del terzo millennio, che dalle rarissime e dolci denominazioni come Romanina e Madonnetta non può sperare riscatto. Mentre i nuovi re di Roma, come li ha chiamati Milena Gabanelli in una famosa puntata di stanno finendo in quei luoghi di accerchiare la capitale con una distesa di cemento pari a un’area grande come dieci volte quella di Parigi, accumulando ricchezze immense, il nuovo sindaco post-fascista Gianni Alemanno perfeziona il sacco prossimo venturo della capitale, che va sotto il nome di "housing sociale" e che si aggiungerà a quello già in corso. Venticinquemila nuovi appartamenti, 9 milioni di metri cubi, da costruire per cominciare su altri 750 ettari di quel che resta dell’Agro romano, dopo che 60 mila sono già stati cementati. I proprietari privati cedono terreni agricoli su aree vincolate per fare edilizia convenzionata a destinazione residenziale e in cambio ottengono l’autorizzazione a costruire su altri terreni per vendere a prezzi di mercato. L’"agricoltura d’attesa", come si definisce l’enorme estensione terreni tenuti lì incolti in attesa dell’edificabilità, torna a premiare gli astuti, pazienti palazzinari. Chi poi di pezzi di Agro ne aveva pochi, insediato Alemanno in Campidoglio, è corso a comprare con i soldi in bocca, pregustando lo skyline dei nuovi insediamenti, così fitti di palazzine che non ci passerà nemmeno un autobus.
Diceva Francesco Saverio Nitti: «Roma è l’unica città mediorientale senza un quartiere europeo». Cent’anni dopo nessun quartiere può dirsi europeo tra i dieci chiamati burocraticamente "centralità", sui 18 previsti, che soffocano Roma con una nuova città da 70 milioni di metri cubi, praticamente una nuova Napoli incistata sulla capitale. Né l’europeizzazione è garantita dal piano regolatore, che Alemanno si appresta a sbullonare, varato dal sindaco Walter Veltroni in articulo mortis, esattamente cento anni dopo quello di Ernesto Nathan, il massone di origine inglese che rifiutò di firmare la voce di bilancio "frattaglie per gatti". Da dove il detto romanesco "nun c’è trippa pe’ gatti".
Oggi di trippa ce ne è in abbondanza per i nuovi palazzinari, pudicamente diventati immobiliaristi, che non sono più gli zotici capomastri che nei primi anni Settanta accorrevano al salvataggio della papale "Immobiliare Roma", precettati dal cardinal Marcinkus e dal vicepresidente e amministratore delegato del Banco di Roma Ferdinando Ventriglia, il banchiere democristiano che con i suoi fidi li teneva prigionieri. Oggi sono loro a possedere banche, banchieri, finanza, giornali, giornalisti, partiti politici, ministri, arcivescovi, sindaci e architetti. Sono loro a condizionare, nella crisi dell’economia globalizzata, gli equilibri periclitanti del capitalismo nazionale.
Enrico Cuccia trafficò con la cosiddetta ala nobile del capitalismo ormai estinta, il suo successore in Mediobanca Cesare Geronzi curò soprattutto l’ala ignobile di quel capitalismo cementizio che di un pezzo preponderante dell’economia nazionale si è impossessato, partendo da Malafede e da altri agri romani dalle cupe denominazioni. Fatta salva naturalmente la Madonnetta. Vedere per credere. Ma chi, pur nato a Roma, potrebbe credere in quel che vede se imbocca oggi, poniamo, via della Bufalotta? A Nord Est della capitale, tra la Salaria e la Nomentana, entri in un budello che si snoda per chilometri e chilometri tappezzato di pizzerie, discariche di pezzi di ricambio, tombini saltati, pittoreschi cartelli pubblicitari fai-da-te, solarium, benzinai, effluvi d’incerta natura e improbabili centri estetici. Ti viene da pensare in fondo che soltanto provinciali esteti come Pier Paolo Pasolini potevano amare questa Roma. E persino che andrebbe eretto un monumento equestre a quel palazzinaro milanese che oggi siede a Palazzo Chigi e tanti anni fa edificò Milano-2 e Milano-3 ottenendo, con l’aiuto di Bettino Craxi, non solo le licenze edilizie, persino lo spostamento delle rotte aeree che col rumore avrebbero potuto disturbare i futuri residenti.
Ma non è lungo il serpentone della Bufalotta o nei centri commerciali che lo circondano, alcuni dei 28 che in pochi anni sono spuntati intorno a Roma, che trovi la misura di questa città sovrapposta alla città, grande più o meno come Padova, capace di contenere 200 mila persone. Devi inoltrarti a destra e a sinistra, verso la Nomentana e verso la Salaria, dove verdeggiava il dolce Agro romano, oggi punteggiato dagli uffici-vendite delle palazzine. È lì che comincia un singolare viaggio tra letteratura, cinema e poesia con i toponimi che le giunte comunali hanno scelto, incuranti della scissione tra i nomi e il panorama circostante. Non lontano da viale Ezra Pound impera Pietro Mezzaroma, palazzinaro sostenitore del neosindaco postfascista Gianni Alemanno, caso di convergenza con le simpatie mussoliniane del poeta del toponimo. "Mezzaroma e figli" hanno costruito palazzine larghissime da otto piani appoggiate nel nulla, tra strisce d’asfalto coperte di rifiuti e campi disseccati. Come? "Secondo Mezzaroma", dice un enorme cartello pubblicitario plastificato, in spregio a via Robert Musil. Basta spostarsi un po’ ai lati del budello - sarebbe meglio dire bordello, ci corregge un signore che si è indebitato per comprare un appartamento con terrazzo sul nulla - per aggirarsi tra via Adolfo Celi, via Gian Maria Volontè e via Mario Soldati. Alle spalle di Ikea troneggiano gli immensi parallelepipedi dall’incerto colore di Francesco Gaetano Caltagirone, detto Franco o Francuccio, il re dei re di Roma, l’uomo più liquido d’Italia, come dicono le cronache finanziarie, titolare di un patrimonio di incalcolati miliardi di euro (forse 23) che dalla Bufalotta e da altre location periferiche della capitale è approdato a Siena, Rocca Salimbeni, dove è vicepresidente del Monte dei Paschi, a piazza Unità d’Italia, Trieste, con le Generali, in laguna con Il Gazzettino, a Napoli con Il Mattino, oltre che a Roma, via del Tritone, dove la figlia Azzurra, moglie di Pierferdinando Casini, presidia Il Messaggero, primo giornale della capitale. Non è il solo a dilettarsi con i giornali. Domenico Bonifaci, quello che ha appena imprigionato l’ingresso a Roma dalla via Flaminia con lo scempio degli immensi palazzoni che lambiscono la stretta striscia d’asfalto, controlla l’altro giornale di Roma, Il Tempo, mentre i fratelli Toti sono tra gli azionisti della Rizzoli-Corriere della Sera.
I palazzoni residenziali targati Caltagirone hanno sette, otto, dieci piani, poggiati tra buche, erbacce, immondizia. Chi comprerà mai l’invenduto ora che i mutui sono cari e vengono erogati dalle banche con il contagocce? Passeggia per via Cesare Zavattini, pace all’anima dell’umorista che viveva nel verde dei Castelli Romani, una giovane signora con il pupo in carrozzina. Non abbiamo il coraggio di interrogarla, ma leggiamo nei suoi occhi la disperazione esistenziale. Un appartamento di 90 metri quadri pagato (anzi da pagare con mutuo indicizzato) 320 mila euro per scarrozzare il neonato in questa landa da pionieri del Far West, una favela che prometteva lusso con le sue terrazze a mezzo melone, con parapetti a intarsio e piscine condominiali vuote, senza collegamenti. Metrò, autobus, strade, asili, scuole, servizi? Un sogno perduto. Dov’è Roma? Dove San Pietro, il Colosseo, il Quirinale? Caltagirone è in ogni dove, ovunque ci siano ettari di Agro da edificare, ma a Bufalotta, dove vende con l’"Inter Media Group" i suoi cuboni a 4 o 5 mila euro al metro, condivide la cementificazione praticamente con l’intera genia dei nuovi palazzinari. Lui è liquido, molti altri costruiscono per farsi con le banche, come si dice, la "leva finanziaria". Scavalchi via Riccardo Bacchelli, l’autore del "Mulino del Po", e t’imbatti in via Olindo Guerrini il poeta scapigliato detto "lo Stecchetti", che poetava: «Quando schizzan le sorche innamorate/ Dalle tue fogne, o Roma».
Bufalotta non è l’unico cuore della speculazione immobiliare di Roma, che ha creato una nuova classe di padroni del capitalismo italiano, è solo uno dei luoghi dove s’incrociano gli interessi di quasi tutte le famiglie palazzinare. Oltre a Franco Caltagirone, capo di una dinastia di origine siciliana di cui fanno parte il fratello Leonardo, che ha costruito il "Parco Leonardo" vicino all’autostrada per Fiumicino, e Edoardo, ci sono i Caltagirone Bellavista, sopravvissuti ai tempi di Andreotti ("a Frà, che te serve", chiedeva Gaetano al factotum andreottiano Franco Evangelisti), impegnati in varie, discusse operazioni immobiliari. E poi Bonifaci, Scarpellini, Mezzaroma, Parnasi, Todini, Erasmo Cinque, Pulcini, Navarra e Toti. Spesso si dividono le torte, ma qualche volta si scannano. Ultimo caso: i fratelli Toti vendono un terreno a Franco Caltagirone e poi dalla giunta Veltroni, che sta per concludersi, cercano di farsi autorizzare una variante per trasformare in residenziali altre aree a Bufalotta vicine a quelle che il re palazzinaro ha pagato fior di quattrini. L’operazione salta. Claudio Toti, il fratello del capoclan Pierluigi, la prende sportivamente e dice che in fondo la sua aspirazione è di andare a fare mozzarelle in Uruguay. Caltagirone, invece, non la manda giù e, eletto Gianni Alemanno sindaco, attacca il centrosinistra che ha governato per quindici anni: «Con Veltroni - sibila - Roma è andata a picco». Ma non concede appoggio preventivo al nuovo sindaco: «Ristoranti e pizzerie con Veltroni, con Alemanno torneremo alla tessera del pane». Persino Erasmo Cinque, intimo di Gianfranco Fini, ha già avvertito Gianni Alemanno: «Il rodaggio è finito» e ha preso di petto il sindaco che ha nominato all’Acea Giancarlo Cremonesi, pur suo collega palazzinaro e antico sodale di destra. L’ala sociale postfascista costringerà i palazzinari a una stagione di digiuno con l’"housing"? Difficile, più probabile che capiti il contrario visto il tono "proprietario" con il quale i potentati del mattone si rivolgono alla nuova giunta capitolina. Alemanno dice di voler riscrivere il piano regolatore veltroniano, che l’urbanista Pietro Samperi, autore di "Mezzo secolo di politica urbanistica romana - Dalle illusioni degli anni ‘60 alle disillusioni degli anni 2000", definisce il viatico per un sacco di Roma "subdolo e strisciante". E ha già provato a mettere i piedi nel piatto, bocciando il progetto di Renzo Piano per le Torri del ministero delle Finanze da abbattere all’Eur per fare 170 mila nuovi metri cubi di Toti, Ligresti, Marchini, con 400 appartamenti di superlusso davanti alla "Nuvola", il centro congressi firmato da Fuksas. Un affronto stilistico al quartiere mussoliniano - dice il sindaco - uno stravolgimento della skyline di Piacentini.
Sorridono i Caltagirone di ogni ramo, sorridono i fratelli Toti della Lamaro con i Parnasi, i Mezzaroma, i Bonifaci. Pensano già ai profitti che metterà in moto la fine dell’attesa per l’"agricoltura d’attesa", a tutto il cemento che coprirà le ultime, dolci colline dell’Agro. Gianni è un ragazzo semplice e appassionato. Ma anche lui capirà. Capirà chi comanda a Roma. E in Italia.

martedì 4 novembre 2008

Misteri della Legge La Valle d’Aosta applica autonomamente il “Decreto Brunetta”

Aosta - Il disegno di legge, i cui contenuti sono stati condivisi con i sindacati del comparto pubblico. Tra le novità in VdA: il medico fiscale non potrà effettuare la visita di controllo dalle 13 alle 16, stipendio decurtato nei primi 5 gg di malattia.

In Valle d’Aosta si dimezzano i giorni di assenza per malattia su cui saranno applicate le decurtazioni dello stipendio. Lo ha deciso la Giunta regionale che ha optato per un’applicazione autonoma, più leggera, del “Decreto Brunetta”. Non saranno dunque 10 le giornate ma 5. "Interveniamo - spiega il presidente della Regione, Augusto Rollandin - nell'ambito di competenze esclusive riconosciute dal nostro Statuto speciale, in materia di ordinamento degli uffici e di stato giuridico ed economico del personale". Il ddl, che passerà in II Commissione e poi in Consiglio regionale, non fissa l'ammontare delle riduzioni, ma prevede che esso sia definito in sede di contrattazione con i sindacati. La decisione assunta dalla Giunta è frutto della concertazione con i sindacati che si dicono soddisfatti, anche se hanno manifestato l’esigenza di approfondire la questione in Consiglio affinché il provvedimento possa interessare anche il comparto della sanità e della scuola, i cui stipendi sono pagati dalla Regione autonoma. Il disegno di legge “Disposizioni urgenti in materia di pubblico impiego regionale”, sull’applicazione del Decreto Brunetta rispetto alle assenze per malattia, tocca circa 5mila dipendenti del comparto unico regionale. Tra i punti che sono stati oggetto di confronto, figura la fascia oraria in cui il medico fiscale non può effettuare la visita di controllo: la normativa nazionale prevede un'ora, dalle 13 alle 14, il ddl regionale aggiunge due ore, portando la “libera uscita” dalle 13 alle 16. Tra le novità che riguardano l'applicazione del Decreto nella nostra Regione figurano: la visita fiscale sarà d'obbligo solo dopo 10 giorni di assenza consecutiva, per Brunetta invece dal 1° giorno. Vengono confermati nel ddl valdostano gli articoli 3 e 4, il collocamento a riposo d'ufficio per chi ha 65 anni o 40 di contributi, anche se è prevista la possibilità di restare in servizio in caso di necessità specifica o di accordo tra le parti.

lunedì 27 ottobre 2008

La crisi delle Borse vista dal Burkina Faso di Carlo Cipiciani

Qui a Banfora, nel Burkina Faso, siamo tutti molto preoccupati per la grave crisi che ha colpito i mercati finanziari del mondo. Seguiamo con trepidazione lo svolgersi degli eventi, trattenendo il fiato ad ogni dichiarazione preoccupata, ad ogni vertice a Parigi, Londra, Washington.
Siamo rimasti senza parole, qui nel Burkina Faso, quando la crisi è iniziata. E il 14 settembre, quando è fallita una grande banca, una certa Lehman Brothers, mandando in fumo in un giorno circa 630 miliardi dollari, una cifra 12 volte superiore a quella che basterebbe a sfamare tutti coloro che soffrono di fame, ci siamo rimasti così male che abbiamo digiunato per 3 giorni. Per fortuna ci siamo abituati e non ci è costata tanta fatica.
Abbiamo atteso con ansia che i grandi della terra si dessero da fare, e abbiamo respirato di sollievo quando il Ministro del Tesoro americano Paulson ha lanciato il suo piano di acquisto per i titoli avvelenati della banche, 700 miliardi di dollari trovati in un batter d'occhio, mentre i soldi per le vaccinazioni obbligatorie per l'Africa non si trovano mai. E siamo rimasti male quando il parlamento americano l'ha bocciato, perché abbiamo pensato a quei poveri manager delle banche e alle loro buonuscite da milioni di dollari che prendevano il volo. Qualcuno qui, per un giorno intero non ha bevuto . Non è stato un gran sacrificio, perché qui spesso l'acqua - quando c'è - è inquinata.
Abbiamo fatto il tifo per il Presidente Sarkozy, per la Cancelliera Merkel, per il Premier Gordon Brown e per il simpaticissimo frequentatore di discoteche Silvio Berlusconi, quando sono fioccati i prestiti di 30 miliardi di euro per Fortis, i 7 miliardi per Dexia , i 35 miliardi di euro per Hypo Re, somme che l'Europa non ha mai dato ai paesi poveri. E siamo stati tristi, quando le borse europee hanno bocciato l'accordo, bruciando il 30 settembre 320 miliardi di euro, una somma che servirebbe a risolvere parte dei problemi dell'assistenza sanitaria nei paesi del terzo mondo. Per protesta quel giorno le donne di Banfora hanno scelto di partorire per strada. Poco male, molte di loro non hanno mai messo piede in un ospedale, forse non sanno neppure cosa sia.
Abbiamo gioito quando il 5 ottobre il G4 ha trovato l'accordo per sostenere le banche, e la Fed ha annunciato un piano per 1.400 miliardi di dollari per far tornare la fiducia degli operatori e del credito che, assieme ai 1.200 spesi in armamenti negli ultimi anni, forse potrebbero risolvere molti problemi : il rachitismo nei bambini, i servizi igenici mancanti, forse pure la casa per chi vive in povertà. Ma non fa niente: l'importante è che poveri miliardari come Abramovich non perdano in un solo giorno 19 miliardi di euro per questa crisi. Ma quando 3 giorni fa le borse europee hanno bruciato in un giorno altri 450 miliardi di euro, che divisi per ognuno dei poveri del mondo farebbero più di 450 euro a testa, che per molti qui a Banfora sono quasi il reddito di un intero anno, abbiamo avuto paura.
Paura, mentre aspettiamo di vedere cosa accadrà dopo le solenni decisioni assunte in questo fine settimana. Trepidiamo con voi, e non pensate che vi stiamo prendendo in giro: siamo davvero angosciati per i vostri piccoli risparmi di gente perbene, per la montagna di soldi perduta dai milionari di tutto il mondo. Pensiamo ai grandi e piccoli sacrifici che vi toccherà fare per qualche tempo, e a quelli di quei poveri miliardari che dovranno rinunciare a qualche piccolo lusso, di tanto in tanto. E, scusateci se ci permettiamo, anche al fatto che chi pagherà il prezzo più alto, come al solito, saremo noi. Vi siamo vicini, come ogni giorno. Anche se forse non ci fate caso.

INTERVISTA A COSSIGA «Bisogna fermarli, anche il terrorismo partì dagli atenei» di ANDREA CANGINI

PRESIDENTE Cossiga, pensa che minacciando l`uso della forza pubblica contro gli studenti Berlusconi abbia esagerato? «Dipende, se ritiene d`essere il presidente del Consiglio di uno Stato forte, no, ha fatto benissimo.
Ma poiché l`Italia è uno Stato debole, e all`opposizione non c`è il granitico Pci ma l`evanescente Pd, temo che alle parole non seguiranno i fatti e che quindi Berlusconi farà una figurac- cia».
Quali fatti dovrebbero seguire? «Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand`ero ministro dell`Interno».
Ossia? «In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito...».
Gli universitari, invece? «Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».
Dopo di che? «Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».
Nel senso che...
«Nel senso che le forze dell`ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».
Anche i docenti? «Soprattutto i docenti».
Presidente, il suo è un paradosso, no? «Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che in- dottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».
E lei si rende conto di quel che direbbero in Europa dopo una cura del genere? «In Italia torna il fascismo», direbbero.
«Balle, questa è la ricetta democratica:
spegnere la fiamma prima che divampi l`incendio».
Quale incendio? «Non esagero, credo davvero che il terrorismo tornerà a insanguinare le strade di questo Paese. E non vorrei che ci si dimenticasse che le Brigate rosse non sono nate nelle fabbriche ma nelle università.
E che gli slogan che usavano li avevano usati prima di loro il Movimento studentesco e la sinistra sindacale».
E` dunque possibile che la storia si ripeta? «Non è possibile, è probabile.
Per questo dico: non dimentichiamo che le Br nacquero perché il fuoco non fu spento per tempo».
Il Pd di Veltroni è dalla parte dei manifestanti.
«Mah, guardi, francamente io Veltroni che va in piazza col rischio di prendersi le botte non ce lo vedo. Lo vedo meglio in un club esclusivo di Chicago ad applaudire Obama...».
Non andrà in piazza con un bastone, certo, ma politicamente...
«Politicamente, sta facendo lo stesso errore che fece il Pci all`inizio del- la contestazione: fece da sponda al movimento illudendosi di controllarlo, ma quando, com`era logico, nel mirino finirono anche loro cambiarono radicalmente registro.
La cosiddetta linea della fermezza applicata da Andreotti, da Zaccagnini e da me, era stato Berlinguer a volerla... Ma oggi c`è il Pd, un ectoplasma guidato da un ectoplasma. Ed è anche per questo che Berlusconi farebbe bene ad essere più prudente».

giovedì 23 ottobre 2008

Scuola Democratica, 20 marzo 1950 - P. Calamandrei

Facciamo l'ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in un alloggiamento per manipoli; ma vuole istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di stato hanno il difetto di essere imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia perfino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di stato. E magari si danno dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo apertamente trasformare le scuole di stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di stato per dare la prevalenza alle sue scuole private. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tenere d'occhio i cuochi di questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi, ve l'ho già detto: rovinare le scuole di stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. Dare alle scuole private denaro pubblico.

sabato 17 maggio 2008

Indipendenza del Kosovo: non è tutto oro quel che luccica

da: "Il vizio oscuro dell'occidente" di Massimo Fini
In Kosovo, una regione grande quanto la metà del Piemonte, stazionavano ventimila guerriglieri dell'ucK bene armati ed equipaggiati (in parte dagli Stati Uniti), che facevano uso sistematico del terrorismo, com'è sempre nelle guerre partigiane, contrapposti all'esercito e alle milizie paramilitari serbe.
C'erano delle buone ragioni da una parte e dall'altra.
Quelle dell'indipendentismo per i kosovari albanesi, il diritto di difendere un territorio che era loro da secoli storicamente e giuridicamente, per i serbi.
Una questione che, fatte salve le pressioni diplomatiche, sempre possibili e legittime, avrebbe dovuto essere risolta dalle forze in campo e all'interno dello Stato jugoslavo.
Ma saltò fuori una categoria giuridica nuova di zecca: quella dei "diritti umani".
In un anno e mezzo di guerra e di guerriglia in Kosovo c'erano stati, da parte delle forze paramilitari serbe, due eccidi di civili per un totale di 205 vittime (diventeranno 2.000 ma solo dopo l'intervento della NATO, dati forniti dai cinquecento osservatori internazionali colà inviati).
E sempre che fossero tutti civili perché ciò che vediamo ogni giorno in Palestina ci dice come in una guerra partigiana non sia facile distinguere un militante da chi non lo è.
Comunque la CNN, questa centrale della disinformatja occidentale, cominciò a trasmettere ossessivamente le immagini di quegli eccidi, ma ogni volta come se si riferisse a episodi diversi e nuovi, creando insieme alle altre TV americane ed europee il clima opportuno.
La NATO, autoproclamatasi forza di polizia internazionale, attaccò la Jugoslavia senza avere l'avallo dell'oNu, bombardandola per una settantina di giorni e uccidendo 5.000 civili, di cui 500 albanesi (danni collaterali. naturalmente) e consegnando il Kosovo all'ucK.
E adesso l’indipendenza unilaterale…

giovedì 17 aprile 2008

L'Unione degli Istriani denuncia gli abusi della polizia slovena

Comunicato stampa della libera provincia dell'Istria in esilio:
Lacota: “Abbiamo subito intimidazioni e vessazioni impensabili in uno Stato di diritto quale vuole essere la Slovenia”.
Profonda amarezza e soprattutto grande paura. Queste le sensazioni dei quasi cento esuli che domenica scorsa, credendo di partecipare ad uno dei consueti pellegrinaggi in Istria nei luoghi degli eccidi commessi a danno dei propri concittadini, hanno invece vissuto una incredibile odissea, subendo gli abusi della polizia slovena da quando i pullman sono entrati nel territorio sloveno.
Nella conferenza stampa di questo pomeriggio, il presidente dell'Unione degli Istriani Massimiliano Lacota, ha ripercorso il viaggio degli esuli a Roditti e Capodistria.
La vicenda inizia nel pomeriggio di domenica, quando i pullman partiti da Trieste alle ore 14.15 raggiungono il valico italo-sloveno di Pesek: ad attenderli ben tre pattuglie della polizia slovena che, in violazione degli Accordi di Schengen – entrati in vigore lo scorso 20 dicembre –, bloccano il convoglio e costringono i mezzi a parcheggiare. Gli agenti in lingua slovena chiedono al presidente Lacota, che si è subito dichiarato responsabile del pellegrinaggio, dove siano diretti i pullman. Alla sua risposta (“andiamo a Roditti”) gli agenti hanno comunicato che “il pellegrinaggio non poteva altro che essere considerato dalle autorità slovene come una manifestazione non autorizzata”, invitando la comitiva a fare immediato ritorno a Trieste facendo retromarcia sul piazzale antistante. Alle rimostranze del presidente Lacota, che ribadiva di non poter accettare una simile interpretazione da parte degli agenti, è intervenuto un ispettore donna dal comando di Sesana, che in sostanza ribadiva l'opportunità di non proseguire il viaggio.
Alla domanda degli esuli: “Che cosa può succederci se proseguiamo il viaggio?” la polizia ha risposto che “con questo avviso noi abbiamo assolto al dovere di informarvi e, se proseguirete, vi assumerete ogni responsabilità per ciò che vi potrà capitare!”
La comitiva ha proseguito il viaggio e gli agenti hanno scortato i pullman fino a Roditti, dove, appena parcheggiati in prossimità della chiesa, al Presidente Lacota è stato ritirato il documento d'identità in attesa di ordini da parte dei loro superiori. Intanto i partecipanti, nonostante il clima di intimidazione, hanno proseguito fino alla miniera dove hanno deposto una corona, non potendo proseguire fino alle foibe.
Dopo alcuni tentennamenti, gli agenti hanno multato il presidente Lacota, pretendendo il pagamento immediato di Euro 312,00 in contanti, a fronte però di nessuna accusa precisa.
I pullman sono quindi proseguiti verso Capodistria, dove è stata deposta una corona davanti la casa Derin, sede dell'OZNA dopo il 1945, in cui venivano torturate numerose persone.
Dopo la deposizione la storia si è ripetuta: al ritorno nei pullman, gli esuli hanno trovato ad aspettarli due cellulari con alcuni uomini delle forze dell'ordine che hanno invitato il presidente Lacota a salire su una camionetta. Al rifiuto di Lacota ed alle proteste degli astanti, gli agenti hanno desistito, facendo però pagare una importo di altre 312,00 Euro, anche in questo caso senza alcuna specifica accusa.
Alla fine, i pullman sono ritornati a Trieste, scortati a vista da veicoli della Polizia fino al confine.
“E' veramente pazzesco ciò che ci è capitato” spiega il presidente Lacota “è stata una intimidazione in piena regola, simile a quelle degli anni '50, che ha colpito nel segno: la gente impaurita, difficilmente tornerà a Roditti per commemorare i nostri concittadini, ed è questo che volevano i poliziotti, che hanno agito evidentemente non di propria iniziativa”.
“Ho interessato l'on. Rosato e le autorità locali” ha concluso Lacota ”affinché sia fatta luce su questa vicenda ed affinché si smetta con questi vergognosi sistemi polizieschi”.

lunedì 17 marzo 2008

Elezioni politiche del 13 e 14 aprile 2008: la scelta migliore è non votare o...

Sono innumerevoli le storture dell'attuale sistema elettorale; tra queste:
un premio che regala la maggioranza assoluta alla Camera dei Deputati al partito che ottiene più voti a prescindere dalla percentuale ottenuta,
un sistema analogo, a livello regionale, premia il partito che ottiene più consensi per il Senato della Repubblica,
l'impossibilità di scegliere il candidato da votare,
uno sbarramento elevato (4% alla Camera e 8% al Senato) che si pone come strumento antidemocratico e assolutamente non risolutivo della frammentazione politica.
In base agli studi commissionati dai partiti principali, questi hanno già stabilito con una matematica certezza quali saranno i rappresentanti degli italiani in Parlamento.
I due schieramenti più accreditati alla vittoria si rincorrono tramite l'affermazione di promesse sempre più irrealizzabili, sbeffeggiando gli elettori con programmi indistinguibili tra loro.
Una par-condicio che, in realtà, lascia a pochissimi una visibilità nei media, inneggiando di fatto al "voto utile".
Votare il meno peggio?
Non è una soluzione!
Legittimare, col voto, un nuovo Parlamento che rappresenti se stesso e le segreterie dei partiti, trasforma l'elettore in un complice.
C'è la necessità impellente d'un cambio radicale di rotta. Il bene del Paese è il bene di tutti i suoi cittadini, non dei più fortunati, dei più potenti o di coloro che hanno i parenti o i conoscenti più influenti. Prepariamoci a prendere direttamente noi in mano il nostro futuro.
Letture di conforto:
www.beppegrillo.it
www.astensione.org
www.riforme.info

domenica 17 febbraio 2008

Report: guai giudiziari per chi collabora extra-RAI

Paolo Barnard – 11 febbraio 2008 - dpbarnard@libero.it

Cari amici e amiche impegnati a dare una pennellata di decenza al nostro Paese, eccovi una forma di censura nell'informazione di cui non si parla mai. E' la peggiore, poiché non proviene frontalmente dal Sistema, ma prende il giornalista alle spalle. Il risultato è che, avvolti dal silenzio e privi dell'appoggio dell'indignazione pubblica, non ci si può difendere. Questa censura sta di fatto paralizzando l'opera di denuncia dei misfatti sia italiani che internazionali da parte di tanti giornalisti 'fuori dal coro'.
Si tratta, in sintesi, dell'abbandono in cui i nostri editori spesso ci gettano al primo insorgere di contenziosi legali derivanti delle nostre inchieste 'scomode'. Come funziona e quanto sia pericoloso questo fenomeno per la libertà d'informazione ve lo illustro citando il mio caso.
Si tratta di un fenomeno dalle ampie e gravissime implicazioni per la società civile italiana, per cui vi prego di leggere fino in fondo il breve racconto.
Per la trasmissione Report di Milena Gabanelli, cui ho lavorato dando tutto me stesso fin dal primo minuto della sua messa in onda nel 1994, feci fra le altre un'inchiesta contro la criminosa pratica del comparaggio farmaceutico, trasmessa l'11/10/2001 ("Little Pharma & Big Pharma"). Col comparaggio (reato da art. 170 leggi pubblica sicurezza) alcune case farmaceutiche tentano di corrompere i medici con regali e congressi di lusso in posti esotici per ottenere maggiori prescrizioni dei loro farmaci, e questo avviene ovviamente con gravissime ripercussioni sulla comunità (il prof. Silvio Garattini ha dichiarato:
"Dal 30 al 50% di medicine prescritte non necessarie") e spesso anche sulla nostra salute (uno dei tanti esempi è il farmaco Vioxx, prescritto a man bassa e a cui sono stati attribuiti da 35 a 55.000 morti nei soli USA).
L'inchiesta fu giudicata talmente essenziale per il pubblico interesse che la RAI la replicò il 15/2/2003. Per quella inchiesta io, la RAI e Milena Gabanelli fummo citati in giudizio il 16/11/2004(1) da un informatore farmaceutico che si ritenne danneggiato dalle rivelazioni da noi fatte. Il lavoro era stato accuratamente visionato da uno dei più alti avvocati della RAI prima della messa in onda, il quale aveva dato il suo pieno benestare.
Ok, siamo nei guai e trascinati in tribunale. Per 10 anni Milena Gabanelli mi aveva assicurato che in questi casi io (come gli altri redattori) sarei stato difeso dalla RAI, e dunque di non preoccuparmi(2). La natura dirompente delle nostre inchieste giustificava la mia preoccupazione. Mi fidai, e per anni non mi risparmiai nei rischi.
All'atto di citazione in giudizio, la RAI e Milena Gabanelli mi abbandonano al mio destino. Non sarò affatto difeso, mi dovrò arrangiare. La Gabanelli sarà invece ampiamente difesa da uno degli studi legali più prestigiosi di Roma, lo stesso che difende la RAI in questa controversia legale.(3) Ma non solo. La linea difensiva dell'azienda di viale Mazzini e di Milena Gabanelli sarà di chiedere ai giudici di imputare a me, e solo a me (sic), ogni eventuale misfatto, e perciò ogni eventuale risarcimento in caso di sentenza avversa.(4). E questo per un'inchiesta di pubblico interesse da loro (RAI-Gabanelli) voluta, approvata, trasmessa e replicata.*
*(la RAI può tecnicamente fare questo in virtù di una clausola contenuta nei contratti che noi collaboratori siamo costretti a firmare per poter lavorare, la clausola cosiddetta di manleva (5), dove è sancita la sollevazione dell'editore da qualsiasi responsabilità legale che gli possa venir contestata a causa di un nostro lavoro. Noi giornalisti non abbiamo scelta, dobbiamo firmarla pena la perdita del lavoro commissionatoci, ma come ho già detto l'accordo con Milena Gabanelli era moralmente ben altro, né è moralmente giustificabile l'operato della RAI in questi casi).
Sono sconcertato. Ma come? Lavoro per RAI e Report per 10 anni, sono anima e corpo con l'impresa della Gabanelli, faccio in questo caso un'inchiesta che la RAI stessa esibisce come esemplare, e ora nel momento del bisogno mi voltano le spalle con assoluta indifferenza. E non solo: lavorano compatti contro di me.
La prospettiva di dover sostenere spese legali per anni, e se condannato di dover pagare cifre a quattro o cinque zeri in risarcimenti, mi è angosciante, poiché non sono facoltoso e rischio perdite che non mi posso permettere.
Ma al peggio non c'è limite. Il 18 ottobre 2005 ricevo una raccomandata. La apro. E' un atto di costituzione in mora della RAI contro di me. Significa che la RAI si rifarà su di me nel caso perdessimo la causa. Recita il testo: "La presente pertanto vale come formale costituzione in mora del dott. Paolo Barnard per tutto quanto la RAI s.p.a. dovesse pagare in conseguenza dell'eventuale accoglimento della domanda posta dal dott. Xxxx (colui che ci citò in giudizio, nda) nei confronti della RAI medesima".(6).
Nel leggere quella raccomandata provai un dolore denso, nell'incredulità.
Interpello Milena Gabanelli, che si dichiara estranea alla cosa. La sollecito a intervenire presso la RAI, e magari anche pubblicamente, contro questa vicenda. Dopo poche settimane e messa di fronte all'evidenza, la Gabanelli tenta di rassicurarmi dicendo che "la rivalsa che ti era stata fatta (dalla RAI contro di me, nda) è stata lasciata morire in giudizio... è una lettera extragiudiziale dovuta, ma che sarà lasciata morire nel giudizio in corso... Finirà tutto in nulla."(7).
Non sarà così, e non è così oggi: giuridicamente parlando, quell'atto di costituzione in mora è ancora valido, eccome. Non solo, Milena Gabanelli non ha mai preso posizione pubblicamente contro quell'atto, né si è mai dissociata dalla linea di difesa della RAI che è interamente contro di me, come sopra descritto, e come dimostrano gli ultimi atti del processo in corso.(8).
Non mi dilungo. All'epoca di questi fatti avevo appena lasciato Report, da allora ho lasciato anche la RAI. Non ci sarà mai più un'inchiesta da me firmata sull'emittente di Stato, e non mi fido più di alcun editore. Non mi posso permette di perdere l'unica casa che posseggo o di vedere il mio incerto reddito di freelance decimato dalle spese legali, poiché abbandonato a me stesso da coloro che si fregiavano delle mie inchieste 'coraggiose'. Questa non è una mia mancanza di coraggio, è realismo e senso di responsabilità nei confronti soprattutto dei miei cari.
Così la mia voce d'inchiesta è stata messa a tacere. E qui vengo al punto cruciale: siamo già in tanti colleghi abbandonati e zittiti in questo modo.
Ecco come funziona la vera "scomparsa dei fatti", quella che voi non conoscete, oggi diffusissima, quella dove per mettere a tacere si usano, invece degli 'editti bulgari', i tribunali in una collusione di fatto con i comportamenti di coloro di cui ti fidavi; comportamenti tecnicamente ineccepibili, ma moralmente assai meno.
Questa è censura contro la tenacia e il coraggio dei pochi giornalisti ancora disposti a dire il vero, operata da parte di chiunque venga colto nel malaffare, attuata da costoro per mezzo delle minacce legali e di fatto permessa dal comportamento degli editori.
Gli editori devono difendere i loro giornalisti che rischiano per il pubblico interesse, e devono impegnarsi a togliere le clausole di manleva dai contratti che, lo ribadisco, siamo obbligati a firmare per poter lavorare.
Infatti oggi in Italia sono gli avvocati dei gaglioffi, e gli uffici affari legali dei media, che di fatto decidono quello che voi verrete a sapere, giocando sulla giusta paura di tanti giornalisti che rischiano di rovinare le proprie famiglie se raccontano la verità.
Questo bavaglio ha e avrà sempre più un potere paralizzante sulla denuncia dei misfatti italiani a mezzo stampa o tv, di molto superiore a quello di qualsiasi politico o servo del Sistema.
Posso solo chiedervi di diffondere con tutta l'energia possibile questa realtà, via mailing lists, siti, blogs, parlandone. Ma ancor più accorato è il mio appello affinché voi non la sottovalutiate.
In ultimo. E' assai probabile che verrò querelato dalla RAI e dalla signora Gabanelli per questo mio grido d'allarme, e ciò non sarà piacevole per me.
Hanno imbavagliato la mia libertà professionale, ma non imbavaglieranno mai la mia coscienza, perché quello che sto facendo in queste righe è dire la verità per il bene di tutti. Spero solo che serva.
Grazie di avermi letto.
Paolo Barnard

Note:
1. Tribunale civile di Roma, Atto di citazione, 31095, Roma 10/11/2004.
2. Fatto su cui ho più di un testimone pronto a confermarlo.
3. Nel volume "Le inchieste di Report" (Rizzoli BUR, 2006) Milena Gabanelli eroicamente afferma: "...alle nostre spalle non c'è un'azienda che ci tuteli dalle cause civili". Prendo atto che il prestigioso studio legale del Prof. Avv. Andrea Di Porto, Ordinario nell'Università di Roma La Sapienza, difende in questo dibattimento sia la RAI che Milena Gabanelli. Ma non me.
4. Tribunale Ordinario di Roma, Sezione I Civile-G.U. dott. Rizzo-R.G.N. 83757/2004, Roma 30/6/2005: "Per tutto quanto argomentato la RAi-Radiotelevisione Italiana S.p.a. e la dott.ssa Milena Gabanelli chiedono che l'Illustrissimo Tribunale adìto voglia:...porre a carico del dott. Paolo Barnard ogni conseguenza risarcitoria...".
5. Un esempio di questa clausola tratto da un mio contratto con la RAI: "Lei in qualità di avente diritto... esonera la RAI da ogni responsabilità al riguardo obbligandosi altresì a tenerci indenni da tutti gli oneri di qualsivoglia natura a noi eventualmente derivanti in ragione del presente accordo, con particolare riferimento a quelli di natura legale o giudiziaria".
6. Raccomandata AR n. 12737143222-9, atto di costituzione in mora dallo Studio Legale Di Porto per conto della RAI contro Paolo Barnard, Roma, 3/10/2005.
7. Email da Milena Gabanelli a Paolo Barnard, 15/11/2005, 09:39:18
8. Tribunale Civile di Roma, Sezione Prima, Sentenza 10784 n. 5876 Cronologico, 18/5/2007: "la parte convenuta RAI-Gabanelli insisteva anche nelle richieste di cui alle note del 30/6/2005...". (si veda nota 4).

sabato 16 febbraio 2008

Presentare una lista? Non troppo semplice!

CALENDARIO DEI PRINCIPALI ADEMPIMENTI

Il 28 febbraio 2008 affissione, in tutti i comuni, del manifesto con il quale il sindaco porta a conoscenza degli elettori la data in cui si terranno le elezioni politiche.

Dal 29 febbraio 2008 al 2 marzo 2008 i partiti o gruppi politici che intendono partecipare alle elezioni depositano presso il ministero dell’Interno il contrassegno con il quale intendono contraddistinguere la loro lista all’elezione della Camera, all’elezione del Senato, nella circoscrizione Estero della Camera e nella circoscrizione Estero del Senato. Gli orari sono stabiliti dalla legge; essi sono tassativi e sono i seguenti: il 29 febbraio e 1 marzo 2008, dalle ore 8 alle ore 20; il 2 marzo 2008 dalle ore 8 alle ore 16.

Entro il 4 marzo 2008 (secondo giorno successivo alla scadenza del termine di deposito dei contrassegni) il ministero dell’Interno restituisce ai depositanti, al loro domicilio eletto in Roma, un esemplare del contrassegno da loro presentato con l’attestazione che il deposito medesimo è regolare. Qualora un contrassegno non sia conforme alle disposizioni di legge, il ministero assegna al depositante un termine di altre 48 ore dalla comunicazione per regolarizzare il contrassegno.

Il 9 e 10 marzo 2008 i partiti o gruppi politici che intendono partecipare alle elezioni depositano presso gli Uffici centrali circoscrizionali per l’elezione della Camera (sono 27 e vengono costituiti presso la Corte d’appello o il Tribunale del capoluogo della circoscrizione elettorale), presso gli Uffici elettorali regionali per l’elezione del Senato (sono 20 e vengono costituiti presso la Corte d’appello o il Tribunale del capoluogo della regione) e presso l’Ufficio centrale per la circoscrizione Estero costituito presso la Corte d’appello di Roma le liste dei candidati relative a ciascuna circoscrizione o regione. Particolari modalità sono in vigore per la Valle d’Aosta (Camera e Senato) e per il Trentino Alto Adige (Senato). Gli orari in cui si depositano le liste dei candidati sono stabiliti dalla legge; essi sono tassativi e sono i seguenti: dalle ore 8 alle ore 20 del 9 e 10 marzo 2008.

Entro l’11 marzo 2008 (giorno successivo alla scadenza del termine di presentazione delle liste), gli uffici esaminano la documentazione relativa alle liste dei candidati presentate e concludono in giornata le loro operazioni, salvo riunirsi il giorno dopo per deliberare in merito a correzioni formali o nuovi documenti.

Entro il 29 marzo 2008, i sindaci affiggono il manifesto con le liste dei candidati della circoscrizione relativa all’elezione della Camera e quelle della regione relativa all’elezione del Senato. Prima che i partiti/gruppi politici possano procedere alla presentazione delle candidature alle varie elezioni è necessario che acquisiscano il certificato che attesti che i sottoscrittori/presentatori delle liste medesime sono elettori. In mancanza la sottoscrizione non sarà ritenuta valida ed il nominativo/i verrà cancellato dall'elenco. Il certificato di iscrizione nelle Liste Elettorali deve essere acquisito anche per i candidati delle liste (uno per ogni accettazione di candidatura). Il numero di iscrizione nelle Liste Elettorali o, il certificato di iscrizione è obbligatorio anche per i sottoscrittori delle proposte di legge di origine popolare o delle richieste di referendum.

Il modello di presentazione/sottoscrizione delle liste dei candidati o proposte di legge/referendum, debitamente compilato e completo di autentica delle firme dovrà essere prodotto al servizio elettorale, che lo restituirà entro 24 ore, completo di certificazioni di iscrizione nelle liste elettorali individuali o collettive o, nei casi previsti, dell'annotazione a fianco di ciascun nominativo del numero corrispondente di iscrizione nelle liste.

Per le accettazioni delle candidature è sufficiente l'elenco degli interessati con cognome nome, data e luogo di nascita. In relazione al numero rilevante di sottoscrizioni necessarie sia per la presentazione delle candidature che delle propose di legge/referendum, per evidenti ragioni organizzative si suggerisce di inoltrare le richieste di certificati per quantità frazionate, senza attendere il completamento della raccolta delle firme. I certificati elettorali sono gratuiti.

Per ulteriori informazioni è sufficiente andare presso l'ufficio elettorale della Prefettura di competenza e richiedere GRATUITAMENTE una copia dell'opuscolo sulle leggi elettorali per le elezioni.

giovedì 31 gennaio 2008

Proviamo a scrivere ad Antonio Di Pietro e Marco Pannella

In questi ultimi tempi la disaffezione alla politica di pochi si è trasformata in un moto contagioso che fa di ogni forma di potere politico un esempio di profonda ingiustizia, negatività e malaffare.

Ritengo che mai forse, come questa volta, sia presente nel paese una rabbia così diffusa ed un forte sentore di rigetto verso tutti coloro che esprimono una carica rappresentativa. In molti poi – e questo è un altro elemento di novità – c’è un forte desiderio di riappropriarsi di quel qualcosa che sinora si delegava, con più o meno convinzione, a quella classe dirigente divenuta, oramai, il vero male da cui liberarsi.

La diffusione di una diversa - seppur ancora limitata – forma di comunicazione, quale quella della Rete, ha permesso un confronto più ampio fra quelle opinioni prima costrette ad un ambito “privato” ed ha mostrato quanto sia ampia e profonda la voglia d’un vero rinnovamento.

Non è, quindi, una guerra alla politica quella che è appena all’inizio quanto, piuttosto, una battaglia contro i poteri politici, i nepotismi di ogni natura, verso un concreto Rinascimento culturale e politico, nel senso più alto del termine.

Sono diverse le opinioni che ciascuno di noi può leggere sui blog più frequentati, ma il comune denominatore resta.

Credo che tutta questa forza possa e debba essere convogliata verso qualcosa di costruttivo, qualcosa in cui si possa ancora credere e che possa davvero avere come obiettivo la soluzione dei tanti problemi che affliggono la quotidianità di tutti noi.

Sono tanti gli interventi di coloro che vorrebbero far tabula rasa di tutto e tutti e provare a ripartire da zero, mentre molti altri credono che alcuni (politici) possano costituire un punto di riferimento per questa rinascita, anche se non completamenti immuni da responsabilità più o meno importanti.

La prossima consultazione elettorale - quale che sia la relativa legge - se vedrà in campo i “soliti” partiti politici, renderà sterile questo sano fermento che cresce di giorno in giorno.

L’invito che porgo a voi è quello di un vostro pubblico incontro nel quale possiate mettere da parte gli elementi “personalistici”od “ideologici” ed unire, invece, quelle capacità di combattere per un bene collettivo a tutela di tutti e contro nessuno in particolare.

Non esiste la soluzione perfetta ed unica ad ogni male, ma smettere di cercarla per favorire alcuni (i più forti, i più ricchi, coloro che possono essere ascoltati) equivale alla peggiore delle rese.

Con speranza.

martedì 29 gennaio 2008

Le regole di base

All'atto della loro candidatura e nel corso dell’intero mandato elettorale, i candidati non dovranno essere iscritti ad alcun partito o movimento politico.

  • Il candidato non dovrà avere riportato sentenze di condanna in sede penale, anche non definitive, né avere procedimenti penali in corso al momento della propria candidatura.
  • Il candidato non dovrà avere assolto in precedenza più di un mandato elettorale, a livello centrale o locale, a prescindere dalla circoscrizione nella quale presenta la propria candidatura.
  • Ogni candidato dovrà risiedere nella circoscrizione del Comune o della Regione (a seconda che si tratti di elezioni comunali o regionali) per il quale intende avanzare la propria candidatura.

Impegni:

  • Ogni candidato si impegna a rimettere il mandato elettorale ricevuto nel caso in cui, nel corso del suo svolgimento, perda o si dimostri non abbia posseduto fin dall’origine uno o più dei requisiti minimi sopra descritti. In mancanza, l’intera lista perderà il diritto di qualificare la propria attività con la certificazione del blog.
  • All’atto della propria candidatura, la lista provvederà a pubblicare in Rete, in un apposito ed adeguato spazio web, l’elenco dei componenti ed il loro curriculum vitae secondo uno standard che andremo a definire, con il proprio programma di governo ed istituirà contemporaneamente un blog aperto a tutti i cittadini che consenta il libero scambio di opinioni e critiche con i componenti della lista civica.
  • La lista non potrà associarsi ad altri partiti o liste, se non certificate dal blog, per governare il Comune o la Regione (la Provincia non è contemplata perché va abolita).

Una bozza di idea organizzativa

La logica di base è quella di avere una presenza ad ogni livello della vita amministrativa. La base deve essere comunale.

La legittimazione della classe dirigente deve avvenire a partire dal soggetto comunale e con primarie. Le cariche devono essere rinnovate ogni 4 anni.
Una scelta importante del nuovo soggetto politico è di non partecipare alle consultazioni provinciali. Le province si sono dimostrate utili solo allo spreco. Se il nuovo soggetto ritiene che debbano essere soppresse, gli appartenenti devono impegnarsi a non partecipare a questo tipo di consultazioni.
Dobbiamo avere una presenza in ogni comune dove si svolgano attività amministrative.
Il finanziamento delle attività comunali avviene attraverso la sottoscrizione dei soci. All'interno di ogni base comunale viene eletto il responsabile che ha il compito di coordinare il gruppo e i tesorieri.
Vengono altresì eletti i componenti che partecipano alla vita della circoscrizione.
La seconda fase è circoscrizionale.
La componente della circoscrizione è composta da X rappresentanti per ogni base comunale e possono essere diversi dal responsabile comunale, oltre ad eventuali Sindaci eletti nei propri comuni. I rappresentanti eleggono il responsabile circoscrizionale. Il tesoriere e i rappresentanti regionali (in numero da definire).
La terza fase è regionale.
Oltre ai rappresentanti circoscrizionali, partecipano di diritto i sindaci.
Viene eletto il responsabile regionale. Il tesoriere e i rappresentanti nazionali.
La quarta fase nazionale.
Vi partecipano i rappresentanti regionali, i presidenti di regione e i sindaci.
Eleggono il responsabile nazionale il tesoriere e tutto il resto.
La base di finanziamento è comunale.
La base comunale versa il 30% delle quote degli iscritti 10 alla provincia, 10 alla regione e 10 a livello nazionale.
Tutti i livelli possono promuovere autonome iniziative di finanziamento che devono essere convogliate su un conto corrente. Ogni socio può prendere visione dei conti correnti a tutti i livelli.

domenica 27 gennaio 2008

Per un Governo delle regole e non per le regole di chi governa

Questa proposta politica parte dalla convinzione che gli interessi degli italiani non siano rappresentati, tutelati e salvaguardati dall'attuale dirigenza politica, sia di destra che di sinistra.
Proponiamo di realizzare quella Rivoluzione Liberale, mai realmente attuata in Italia; siamo consapevoli che senza l'appoggio e la convinzione di un grande movimento politico popolare, l'educazione alla libertà non può divenire patrimonio comune. Dobbiamo rimboccarci le maniche perché l'attuale classe politica non ha interesse a realizzare questo cambiamento.