venerdì 28 novembre 2008

Il conflitto di Tremonti

di Luca Piana
La pratica è arrivata sul tavolo degli ispettori anti evasione ormai da tempo. La Mondadori, casa editrice di proprietà di Silvio Berlusconi, è sospettata di aver evaso il fisco. Facendo i controlli sulle dichiarazioni del 2004, gli uomini dell'Agenzia delle Entrate di Milano si sono accorti che la Mondadori aveva escluso dal reddito imponibile una serie di guadagni, riducendo le tasse da pagare.
Una cifra non elevata, dicono fonti vicine al dossier, anche se superiore ai livelli che potrebbero far scattare la denuncia per falsa dichiarazione. Il caso, però, è politicamente scottante per due aspetti diversi. Il primo è che sarebbe clamoroso vedere un premier punire se stesso per aver evaso il fisco. Il secondo è che tra i consulenti fiscali abituali del gruppo Fininvest c'è, anche se in modo non esclusivo, lo studio fondato dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. Così all'Agenzia delle Entrate, l'ente che si occupa della lotta all'evasione guidato da un fedelissimo del ministro, Attilio Befera, la pratica Mondadori sembra non fare progressi da mesi: alla stessa casa editrice fanno sapere di non essere a conoscenza se i rilievi, dichiarati già nel bilancio 2007, abbiano avuto seguito. All'Agenzia, invece, non commentano.
In prima linea durante queste settimane di durissima crisi finanziaria, Tremonti è da sempre considerato una delle figure più in vista nell'alleanza che gravita attorno a Berlusconi. Esiste però una faccia poco nota del pianeta Tremonti, costituita dalla sua attività professionale di fiscalista. Lo studio, fondato negli anni Ottanta, ha la sede storica a Milano, dove occupa gran parte di un elegante palazzo in via Crocefisso. Dal citofono il cognome del ministro oggi è sparito. Vi rimangono quelli dei più anziani fra i partner attuali: Enrico Vitali, Dario Romagnoli e Lorenzo Piccardi. Il sito Web informa che Tremonti "ha lasciato lo studio".
Gli studi professionali non sono aziende ma associazioni fra partner che si dividono i profitti. Se uno lascia, a meno di accordi segreti, la ditta esce dal suo patrimonio. Per Tremonti, però, l'idea di un taglio netto è dura da sostenere: ogni volta che è uscito dal governo, è tornato a lavorare in studio. È accaduto nel luglio 2004 quando, in rotta con Gianfranco Fini, per 14 mesi dovette lasciare il posto a Domenico Siniscalco. Ed è successo nel 2006, dopo l'ultima vittoria di Romano Prodi.
Questo avanti-indietro dà vita a un corto circuito continuo. Il primo aspetto problematico nasce nei rapporti fra ministero e imprese a controllo statale. Tremonti partecipa alla nomina di manager di aziende che, poi, figurano fra i clienti dello studio, come accaduto con Enel e altre società. Un intreccio che si complica quando il ministro assegna incarichi a persone che incrocia nell'attività privata. Nel 2002 ha piazzato nel collegio sindacale dell'Eni Paolo Colombo, fratello di Fabrizio, un suo associato. Due anni dopo lo stesso Paolo Colombo è divenuto consulente dello studio e lo scorso giugno, nella tornata di nomine all'Eni varate da Tremonti, è stato promosso consigliere. L'unica donna fra i partner dello studio, Laura Gualtieri, è stata nominata nel collegio sindacale di due aziende della Finmeccanica, Agusta e Alenia Aermacchi, anche se solo come sindaco supplente. Curioso il caso del presidente dell'Enel, Piero Gnudi, riconfermato in giugno: è stata la figlia, Maddalena, a venire accolta, quest'anno, tra gli associati dello studio fondato da Tremonti.
Il secondo aspetto delicato riguarda la sfera politica. I proclami del ministro a volte stridono pesantemente con il business dello studio, facendo apparire Tremonti come il Don Giovanni di Mozart: cambiando identità a seconda della donna che ha davanti, il seduttore sembra perdere se stesso. Lui attacca la grande finanza, ma fra i clienti abbondano le banche, dalla Merrill Lynch al Monte dei Paschi di Siena, che in luglio si è avvalso della consulenza fiscale di Vitali & C. per vendere alla Lehman Brothers l'attività dei crediti in sofferenza. E non mancano i petrolieri, quelli che avrebbero dovuto piangere per l'introduzione della cosiddetta Robin Hood Tax. Il 17 luglio, parlando alla Camera dei deputati, Tremonti si è scagliato contro i colossi russi dell'energia, affermando che in Europa operano soggetti dalle "caratteristiche aggressive diverse da quelle di mercato". Un mese prima, quando era ministro da 40 giorni, la Erg della famiglia Garrone aveva però venduto alla russa Lukoil il 49 per cento delle raffinerie e della centrale di Priolo, in Sicilia, per 1,37 miliardi. Per minimizzare l'impatto fiscale sull'incasso, la Erg si era rivolta allo studio fondato da Tremonti, con cui vanta un lungo rapporto: uno dei partner, Marcello Valenti, è sindaco della Erg Raffinerie Mediterranee.

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